Archivio per gennaio, 2012

Perché non votiamo – Pasquale Binazzi

Posted in Astensionismo on 29 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

I. Né eletti, né elettori.

Per quanto già molte volte, sia nelle nostre conferenze come sui nostri giornali ed opuscoli, abbiamo fino a sazietà risposto e dimostrato perché noi anarchici non dobbiamo essere né eletti né elettori, pur tuttavia i vecchi pregiudizi che annebbiano la mente di gran parte dei lavoratori, l’arte subdola di cui sono maestri i politicanti di ogni colore, ci mettono sempre nella condizione di dovere difenderci da attacchi, ora apparentemente benevoli, ora addirittura vili e triviali, coi quali lo studio degli illusi o degli intriganti cercano di menomare la propaganda nostra, affinchè non sfugga dalla loro tutela il gregge elettorale, di cui essi hanno bisogno per salire le comode e lucrose scale del potere. E lo scopo principale per cui questi uomini tanto si affannano, intrigano, corrompono, intimidiscono è per raggiungere il posto privilegiato di legislatori, mediante il quale essi possono non già rendersi interpreti della volontà di chi li elesse a deputati; ma imporre la propria e incanalare le risorse e le attività di un popolo a loro beneficio e della classe cui appartengono.
Questa è una verità troppo vecchia e resa fin troppo evidente dai fatti di tutti i giorni. Nessuno aspirerebbe al potere se questo non procacciasse dei vantaggi, dei privilegi morali, politici ed economici. Quindi il potere è per sua natura ingiusto e corruttore. Ma oltre a questa elementarissima considerazione che non può sfuggire neppure ai più bonari osservatori, ne dobbiamo fare altre ben più importanti e che sono precisamente quelle che ci fanno essere dei ferventi propagandisti dell’astensionismo nelle elezioni politiche ed amministrative. Il nostro atteggiamento e le ragioni per cui adottiamo questa linea di condotta diversificano assai dagli altri partiti o rivoluzionari o reazionari che accettano l’astensionismo, come ad esempio i mazziniani ed i clericali intransigenti. Noi non siamo astensionisti in forza di qualche pregiudiziale o perché il potere invece di avere una forma democratica repubblicana l’ha borghese e monarchica, oppure perché non è schiettamente clericale o papalina; ma perché noi siamo avversi ad ogni forma di potere costituito, perché ogni potere costituito rappresenta una sopraffazione, una violenza, un’ingiustizia.
Comprendiamo che i mali sociali si eliminano eliminando le cause che li generano, quindi logicamente siamo avversi allo Stato, qualunque sia la sua forma, perché questo rappresenta un tiranno che sta sul collo dei cittadini; un grande parassita dalle mille branche che sa tutto assimilarsi, tutto carpire senza nulla dare. Comprendiamo che accettare per principio che altri pensino per noi, studino per noi, facciano per noi è un condannarci all’inattività, è rinunciare alla nostra indipendenza, è lasciarci atrofizzare lo spirito d’iniziativa sia nel campo del pensiero che dell’azione. Un uomo, un popolo è forte, è capace di sostenere efficacemente la lotta per la vita, ed anzi riesce a trionfare sulle difficoltà che gli si parano innanzi, a misura dello spirito d’indipendenza e d’iniziativa di cui è animato. Invece la tattica elezionistica abitua gli uomini ed i popoli alla passività, tutto si limita a fare la fatica di eleggersi un rappresentante, ad accentrare così in poche mani il potere e quindi l’avvenire di un’intera nazione.
Perciò noi anarchici siamo convinti che la massima indipendenza sia dell’individuo, come di ogni singola collettività umana, sia una condizione indispensabile di rapido progresso e di sviluppo su ogni ramo di attività e una eliminazione di parassitismo e di ogni ingombrante e dannosa burocrazia. Non bisogna metter l’uomo nelle condizioni che possa diventare il padrone dell’altro uomo; non bisogna concedergli né riconcedergli un’autorità, di cui poi tutti debbano sopportare le conseguenze dannose e subire gli errori e le ingiustizie che vengono consumate in nome di un potere da noi stessi eletto. Il potere per sua natura deve sviluppare due grandi mali che paralizzano la vita di un intero popolo, e cioè l’accentramento e la burocrazia. Stabilire che a Roma si debbano discutere, approvare, dare ordini, regolare i rapporti e gli interessi che riguardano collettività che risiedono a Milano, Torino, Palermo, ecc. è quanto di più errato si possa pensare e stabilire. Tutti anche nelle più dolorose circostanze hanno potuto constatare il grande fallimento dello Stato. Infatti questo che viene costituito, secondo i suoi sostenitori, per tutelare con maggiore potenzialità, minor dispendio di forze e unità d’intenti l’interessi delle collettività che deve amministrare, in pratica ha solo saputo meritarsi la critica e l’imprecazione generale, perché invece di scongiurare dei mali, di limitare i danni con pronti provvedimenti, ha dato prova di noncuranza, di una spaventevole lentezza, causata dal suo mostruoso ingranaggio burocratico. Il recente disastro calabro-siculo informi. La logica dei fatti impone dunque di non dover dar mano ad erigere delle istituzioni, il cui esponente rappresenta quanto di male possa colpirci. Ognuno confronti il funzionamento dello Stato, che impone ai suoi rappresentanti ed esecutori l’attesa d’ordini anche nelle circostanze più gravi, col mirabile risultato che sa sempre dare l’iniziativa individuale e collettiva, ed avrà subito una dimostrazione chiara delle verità che noi andiamo da molti anni propagandando e che vengono chiamate utopie, solo perché troppo grandi e perché impongono un mutamento radicale delle attuali condizioni di cose. Tutti si devono convincere che invece dell’inutile e pesante macchina dello Stato, i popoli hanno bisogno per il loro benessere di abbattere tutti gli Stati, siano essi democratici o reazionari, per poter più presto e bene stabilire tra di loro dei rapporti di scambio rapidi, diretti e mutabili a seconda dei bisogni e delle innovazioni che vengono introdotte nelle arti, nelle scienze e nelle industrie.
Lo Stato che in tutti i paesi del mondo non sa far altro che opera paralizzatrice delle individuali energie e il grassatore delle fatiche altrui, deve essere combattuto e non aiutato, deve essere abbattuto e non modificato. Quindi, o lavoratori, quando coloro che ambiscono di diventare i monopolizzatori di tutto, sciorineranno molti sofismi e vi useranno tutte le blandizie che il loro animo d’ipocriti dominatori sa abilmente trovare, ricordatevi che voi non dovete concorrere a dare vita allo Stato; voi non dovete concorrere a nominare gli uomini che lo impersonificheranno; voi se volete far trionfare la libertà e la giustizia non dovete essere né eletti né elettori.

II. Illusioni sulla legislazione sociale

Quei repubblicani, quei socialisti e tutti coloro che nutrono fiducia sulla legislazione sociale, credono di usare contro di noi l’argomento principale quando ci dicono, quando dicono ai lavoratori che è necessario che la classe diseredata abbia in seno al parlamento – istituzione borghese – i suoi diretti rappresentanti, i suoi deputati che portino in quell’ambiente grigio la eco delle proteste e dei dolori dei poveri paria dei campi, delle miniere e delle officine. “Siamo in pochi, questi democratici politicanti dicono, perché non vi è il suffragio universale, arma potente assai temuta dalla borghesia. Aiutateci a conseguire questo diritto per tutti i cittadini, per tutti i lavoratori e noi avremo fatto un gran passo verso l’emancipazione sociale”. A parte gli esempi che si potrebbero citare di paesi dove il diritto al voto è più esteso che non in Italia; a parte i risultati incerti che si potrebbero ottenere se tutta la massa acefala potesse ancor più in modo pecorile essere guidata alle urne a compiere l’alto dovere civico!!!; a parte le ragioni d’indole morale dette nel precedente capitolo, vi è da tener conto della resistenza tenace, e nei più dei casi anche violenta, che sa usare ogni singolo privilegiato contro chi vuole strappargli una parte dei privilegi che ha saputo imporre alla grande maggioranza dei produttori con ogni sorta di astuzie e di frodi. Vi è stato un tempo in cui quando l’astuto poliziotto Giolitti amoreggiava coi generali del socialismo italiano – momento di vergognoso amplesso che essi oggi vorrebbero che fosse da tutti dimenticato e che ha provocato persino un segreto convegno a Bardonecchia fra Giolitti ed il futuro ministro Filippo Turati – allora tutti decantavano i trionfi della legislazione sociale ed i 50 milioni (!!) guadagnati dal proletariato nelle sue ultime agitazioni.
Venne la realtà cruda dei fatti a dissipare la vacuità delle parole, gli eccidi proletari imposero silenzio ai politicanti della frazione estrema, i quali di fronte all’indignazione generale dei lavoratori dovettero bruscamente troncare i loro incestuosi amori, seguire la piazza e perdere qualche seggio a Montecitorio. Anche allora, come in altre occasioni, la borghesia che si era seriamente preoccupata della rapidità ed estensione colla quale seppe il proletariato proclamare lo sciopero generale politico, e comprendendo quanto era per lei pericoloso che i lavoratori abbandonassero le vie legali ed incominciassero ad usare l’azione diretta, se la prese coi capi popolo, scagliò contro costoro tutta la sua stampa prezzolata, incitò i locandieri, gli affitta camere, la piccola borghesia, lo stuolo dei servitori delle istituzioni perché facessero vile ed assordante coro contro i lavoratori, perché avevano osato – ahi purtroppo! solo per qualche giorno – di protestare con un po’ di energia contro i sistematici assassinii di poveri affamati, di smunte donne e di miseri piccini. Anche quella misera borghesia che si compiace in tempi di bonaccia di farsi chiamare liberale, seppe con eguale veemenza e criteri reazionari condannare l’impulso generoso dei lavoratori, seppe con non minore rabbia fare pressioni contro i duci delle schiere proletarie, contro i politicanti dei partiti popolari, affinché richiamassero i ribelli alla consuetudinaria docilità e alla cieca fiducia nella legislazione sociale.
La borghesia più intelligente comprese che il concedere alla classe sfruttata qualche riconoscimento ufficiale e accettare il principio della legislazione sociale, non costituiva per essa alcun pericolo. Quello che seriamente teme e che vuole con ogni mezzo scongiurare è la sfiducia nei metodi legalitari; non vuole che si dilaghi fra la grande massa lavoratrice la fiducia nell’azione diretta, nell’azione singola, nell’azione prettamente rivoluzionaria, perché assai bene comprende che questa segnerebbe il principio della sua fine. Ecco perché noi anarchici moviamo aspra guerra ai nostri avversari che adescano i lavoratori col miraggio dei grandi (??) benefici della legislazione sociale. I poveri abbrutiti dalle fatiche, dalla miseria e dall’ignoranza ascoltano questi progettisti delle pacifiche conquiste, prendono tutto sul serio, credono che basti stabilire con un articolo di legge un miglioramento qualsiasi perché venga dopo poco attuato; imparano a venerare i loro leggiferatori come gli antichi cristiani veneravano il loro Cristo; ed intanto il tempo scorre ed i senza pane ed i senza tetto continuano la loro parte di docili macchine produttive, seguitando a produrre per altri e lusingandosi sempre di vedere spuntare per opera della legislazione sociale il simbolico e decantato sole… dell’avvenire apportatore di benessere e giustizia per tutti.
Intanto messi su una falsa via iniziano agitazioni sterili, che non danno né possono dare alcun pratico risultato, vanno dietro ora a questo ora a quell’arruffone politicante; chiedono i pochi soldi di aumento di salario, lusingandosi che tale aumento procaccerà loro maggiore benessere, mentre invece non s’accorgono che per la legge ferrea del salario, derivante dall’attuale sistema di economia politica, essi concorrono a far rialzare artifiziosamente il costo generale della vita – a maggiore vantaggio degli sfruttatori – ed essi rimangono sempre dei poveri diseredati, coloro che tutto devono pagare e che per tutti devono soffrire. Fino a tanto che rimarrà saldo come principio la proprietà privata e il salario costituirà la pietra di paragone del compenso del lavoro umano; fino a tanto che i principi della finanza saranno lasciati i padroni delle ricchezze ed i monopolizzatori di tutti i prodotti, saranno pure i trionfatori del potere, gli alleati, i protetti e gli ispiratori dello Stato e della Chiesa, ed ai lavoratori, ad onta delle apparenti concessioni e miglioramenti, rimarrà soltanto quanto loro necessita per non morir di fame. I pingui e tristi eroi dell’oro cedono soltanto quando sono costretti a farlo, e a tutta quella gente che s’illude ed illude di poter armonizzare il capitale col lavoro, non potrebbe danneggiare maggiormente gli interessi dei non abbienti.
Si prova un profondo disgusto a vedere della gente che vorrebbe passare per sincera e per chiaroveggente, dimenticare i punti sostanziali della questione sociale e per amore di un vile seggio nelle amministrazioni pubbliche o al parlamento smorzare ogni ardore giovanile, soffocare ogni impeto generoso, e, per rendersi accetti a tutti gli elettori delle diverse graduazioni politiche e sociali, smussare tutte le angolosità del proprio pensiero, e anzi fare dei veri sforzi per renderlo incomprensibile e accettabile alla massa amorfa, che non sa pensare né vuole fare sforzi per comprendere. E più disgusto suscitano quei giovani, che dicono di appartenere alle file dell’avanguardia del socialismo, quando si vedono prendere parte attiva agli ibridi connubi ed affannarsi per andare alla ricerca di un candidato qualsiasi, perché questi si prenda il disturbo di fare qualche piccola promessa e qualche insignificante dichiarazione di fede incerta. No, in questo caso meglio è trincerarsi nel silenzio, se non si sa o non si vuole risvegliare l’animo sopito del popolo. Se essi non vogliono essere i pionieri di ardenti verità, se non vogliono essere i pugnaci combattenti contro le cattive presenti istituzioni e conto uomini corruttori e corrotti, almeno non partecipino agli intrighi, abbandonino il popolo a se stesso piuttosto che ingannarlo, piuttosto che trascinarlo in vie contorte che lo fanno allontanare dalla soluzione del tormentoso problema sociale. Se invece veramente amano il popolo, se vogliono educarlo, incoraggiarlo e consigliarlo, essi devono rimanere col popolo e fra il popolo. Da questo trarranno sempre novella audacia ed eviteranno così il pericolo di diventare le giudiziose scimmie ammaestrate del baraccone nazionale.

III. Che fare?

Arrivati a questo punto mi pare di sentirmi da ogni parte rivolgere la domanda: Che fare dunque? Io rispondo con una sola parola: la rivoluzione. Questo malessere generale che ormai si acutizza in tutte le classi dei lavoratori – siano essi operai manuali o cultori del genio o del fecondo pensiero – si estende anche nelle altre categorie meno potenti, meno privilegiate, le quali cercano con ogni mezzo di non essere completamente travolte dalla lotta per la vita. Questo disagio quasi generale rappresenta le prime scosse della terra in quel punto dove non si è ancora definitivamente assestata, e l’assestamento verrà dopo una grande scossa, dopo un tremendo terremoto. Quindi anche la natura c’insegna che noi non possiamo mutare radicalmente i rapporti economico-sociali se non compiamo l’atto rivoluzionario, l’atto definitivo che deve completare, anzi attuare, quella rivoluzione che già è avvenuta nel pensiero nostro. Tutto il resto è vana retorica, se non è spudorata menzogna. Il trionfo del quarto d’ora, la soluzione del problema della giornata, il riconoscimento legale dei diritti che altri devono poi concedere; l’attesa del proprio benessere della sapienza, dell’onestà, dall’attività di altri, sono tutti palliativi, tutti ritardi, tutte illusioni, tutte mistificazioni.
La rivoluzione non è un capriccio, non è una degenerazione, non è una malvagità, ma è una necessità. Bisogna che ogni uomo possa assestarsi sulla terra come egli vuole, bisogna che si senta completamente libero nei suoi atti e nel suo pensiero, bisogna che l’individuo non s’imponga alla collettività, come la collettività all’individuo, e ciò non può venire se non col trionfo della grande rivoluzione livellatrice e liberatrice di tutte le ingiustizie, di tutte le miserie e di tutte le schiavitù. Solo allora si verrà stabilendo il vero equilibrio sociale, che darà inizio ad una novella gagliarda vita che sarà veramente vissuta da ogni individuo, perché tutti educati alla scuola dell’operosità e della libera iniziativa.
Come già in altro punto di questo modestissimo lavoro ho detto, saranno gli stessi bisogni che regoleranno i rapporti fra individui, collettività e popoli; saranno i bisogni che regoleranno le attività, le iniziative, la produzione e gli scambi dei prodotti. Però bisogna che anche i rivoluzionari e gli anarchici un po’ alla buona, comprendano che la rivoluzione non è la rottura di un vetro, la ribellione sciocca alle guardie in un momento di sbornia, ma è l’azione costante, coscientemente ribelle a tutte le presenti ingiustizie, a tutte le attuali concezioni economiche politiche. Bisogna fare il grande vuoto all’attuale edifizio sociale, sottrargli quanto più sta in noi i difensori ed i coadiuvatori, non bisogna lasciarci assorbire né moralmente né finanziariamente, non bisogna alimentarlo, ma scavargli l’abisso che lo travolga. E voi, o lavoratori di campi e delle officine, voi che pur seminando e mietendo ciò che è il frutto delle fatiche vostre dovete tutto consegnare a chi nulla produce, voi che costruendo macchine, case, mobili, vesti, oggetti di bellezza e d’arte dovete rimanere sempre miseri, sempre schiavi, sempre iloti, comprendeteci una buona volta, ascoltate i nostri consigli, cominciate a scacciare lontani da voi i pastori della Chiesa e dello Stato e lo stuolo dei politicanti, ed unitevi alle nostre falangi ribelli che lottano per il trionfo dell’integrale emancipazione umana, per il trionfo del tanto temuto, calunniato ma pur tanto bello e grande ideale dell’Anarchia.

La Spezia, 1909.

Comunicato segreteria nazionale USI/AIT sullo sgombero di via dei Conciatori

Posted in Circolo on 20 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

Stamattina all’alba è cominciato, a Firenze, lo sgombero dello stabile occupato in via Conciatori n.4, sede tra l’altro dell’Unione Sindacale Italiana (USI-AIT),  del Circolo Anarchico Fiorentino e del “Progetto Conciatori”.
A questo sgombero è stata opposta resistenza, alcuni compagni sono saliti sul tetto cercando di resistere; mentre le cariche della polizia colpivano i compagni in strada che manifestano contro lo sgombero.
L’unione Sindacale Italiana condanna come fatto gravissimo l’attacco poliziesco alla sede di un sindacato di lavoratori e ne denuncia il livello di repressione che questo sgombero comporta, a maggior ragione quando ciò avviene ad opera del rappresentante di un partito che si dice dalla parte dei lavoratori.
Il sindaco della città non ha mai voluto ascoltare la proposta di autorecupero dello stabile da parte del “Progetto Conciatori”, ma ha abdicato ai voleri della speculazione privata.
Con lo sgombero di via dei Conciatori Firenze perde un’esperienza di autogestione che le ha dato importanti iniziative culturali e un progetto politico e sindacale unico per la difesa degli spazi sociali, del territorio e di tutti gli sfruttati.
Ancora una volta come Unione Sindacale Italiana siamo colpiti dalla speculazione che attacca le nostre sedi, esattamente come avvenne nel 1925 quando il regima fascista requisì tutte le sedi dell’USI, sedi che mai lo stato democratico ha pensato di restituire.
La Segreteria Nazionale e la Commissione Esecutiva dell’USI-AIT esprimono ai compagni fiorentini e toscani a nome di tutta l’USI-AIT la vicinanza e solidarietà e dichiarano il proprio sostegno a tutte le iniziative che i compagni fiorentini e toscani decideranno di mettere in atto.
Analoga solidarietà e vicinanza va anche a tutte le altre realtà presenti oggi all’interno dello stabile in via dei conciatori.

 

Segreteria Nazionale e Commissione Esecutiva USI-AIT

San Carlo Terme – Una lotta infinita per difendere l’acqua

Posted in San Carlo on 17 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

Pubblicato su Lotta di Classe n° 123  (http://www.lottadiclasse.it/)

Sorridendo amaro un operaio dice: “Siamo con l’acqua alla gola”. È la triste storia delle terme e delle sorgenti di San Carlo, una frazione a monte nel comune Massa.
Tutto ebbe inizio nell’agosto del 2007 quando la famiglia Bonini, fondatrice e fino ad allora proprietaria della società che gestisce il complesso, vende alla Immobiliare Iris 2000 srl di Roma, una azienda del gruppo Vichi Holding.
L’acqua di San Carlo ha importanti caratteristiche terapeutiche. Una delle caratteristiche principali è la sua istofilia, cioè ha lo stesso ph e la stessa composizione salina dei tessuti umani. Questo le conferisce, insieme alla sua composizione oligominerale, una particolare efficacia nella cura dei disturbi renali. È un’acqua importante in zona proprio per questo, e da decenni aiuta chi con affezioni renali segue diete particolari. Con il tempo si è poi affermata anche a livello nazionale.
E quest’acqua piace, piace alla Vichi Holding che decide di investirci nonostante non sia il suo settore principale di attività. Opera nel campo del trattamento dei metalli e delle costruzioni meccaniche di precisione.
Insomma, arriva a Massa, rileva terme e impianto di imbottigliamento e comincia a “dar da bere” progetti faraonici, investimenti a cui nessuno crede se non i media locali e l’amministrazione, promesse di posti di lavoro. 15.000.000 di euro per rinnovare lo stabilimento d’imbottigliamento e creare una “beauty farm” per rilanciare il turismo termale, un progetto che darà lavoro a 150 persone. È il 2009 quando viene ufficializzato, con tanto di sindaci di Massa e di Carrara a presenziare e darne un valore istituzionale. Ma l’unica cosa che cambia veramente è il numero degli occupati nello stabilimento che, invece di aumentare come da promesse, cominciano a calare. Inoltre, beffa su beffa, alla direzione della San Carlo, a seguito della fastosa campagna stampa fatta, cominciano ad arrivare currucula di cassaintegrati delle aziende in crisi nella zona industriale locale.
A questo punto l’indignazione dei lavoratori San Carlo è ai massimi livelli. La provincia di Massa-Carrara ha un livello occupazionale disastrato, aziende in crisi, Eaton e Nuovi Cantieri Apuani a tiro di chiusura, il comparto marmo sempre meno capofila: è un’emorragia incontrollabile. E come unica risposta si promettono posti di lavoro che non esistono.
In questo drammatico scenario, tra posti che non esistono e che si promettono, con riduzioni del personale e cambi di contratto (i cinque dipendenti rimasti sono part-time) i mesi passano.
Arriva il 2011 e con l’inizio dell’anno la grande novità: la Vichi Holding è decapitata da un’inchiesta giudiziaria della guardia di finanza che porta in carcere 45 persone per frode fiscale ed evasione fiscale. Cinque di questi sono i titolari della Vichi.
A questo punto la società sparisce. Da lì a pochi mesi i dirigenti messi alla testa della San Carlo abbandonano la società e non c’è più modo di entrare in contatto con loro.
Da settembre i cinque “superstiti” sono senza stipendio e da ottobre la produzione si è fermata per la mancanza dei materiali dei consumo necessari per l’imbottigliamento. A nulla sono valse le richieste avanzate dai dipendenti, sostenuti dalla Confail/CobasMarmo, che li ha sempre seguiti e appoggiati nelle loro lotte, per poter continuare la produzione e non perdere le commesse da evadere.
Questa è la storia.

A oggi il quadro che si presenta è molto complesso.
Da una parte abbiamo una proprietà che, impelagata in guai giudiziari, non risponde alle richieste avanzate dai lavoratori ed ha di fatto chiuso lo stabilimento, dall’altro un gruppo di lavoratori che sta tentando di tutto per salvare non solo il loro lavoro, ma l’economia di un intera vallata e tutelare le fonti idriche. In mezzo una amministrazione comunale che non si è ancora ben capito che linea voglia tenere. Ufficialmente pubblicizza il proprio sostegno alla San Carlo, di fatto è bloccata e invischiata nel proprio conflitto di interesse.
A 2 km di distanza esiste un’altra azienda per l’imbottigliamento dell’acqua, la Evam, proprietaria dei marchi Fonteviva e Amorosa, di proprietà al 95,5% del Comune di Massa. La fonte a cui attinge è nulla rispetto alle quattro di San Carlo. E la Evam deve essere venduta.
Pensare che esista la possibilità che il comune non abbia alcun interesse nella ripresa della attività di imbottigliamento per chiedere poi la caducazione delle concessioni sulle fonti San Carlo e farne successivamente richiesta come Evam, non è poi così da fantapolitica. A questo punto l’amministrazione comunale non solo si troverebbe ad avere in vendita una proprietà con un valore notevolmente superiore a quello attuale, ma questa operazione potrebbe far gola anche a qualche investitore locale amico.
Insomma, uno sparuto gruppo di lavoratori e paesani che sta lottando contro una multinazionale e una amministrazione locale. E lo sta facendo con determinazione.
Guidati da Giovanni “Pedro” Pedrazzi della Confail/CobasMarmo, qualche mese fa ebbero l’idea di costituirsi in cooperativa per subentrare all’attuale proprietà e cominciare a gestire il loro territorio in autonomia, fuori da logiche speculatrici e politiche.
Per costruire lo stabilimento vennero espropriati i terreni ai loro nonni, senza che questi ricevessero in cambio qualcosa, hanno sempre sfruttato le fonti con ricadute sul territorio minime. Questo è ciò che non vogliono accada più. Sono ben consci dell’importanza che l’acqua ha, in più con le proprietà terapeutiche di queste fonti. Un bene comune che comune deve rimanere.
E quella della cooperativa è l’unica via praticabile per far uscire dall’impasse questa vicenda, una cooperativa che si assuma l’onere sociale di gestire una risorsa primaria come l’acqua svincolandola da logiche di sfruttamento e speculazione. Una cooperativa che permetta al paese di produrre un reddito per garantirsi una vita dignitosa e che nel contempo curi e protegga il territorio dai vandalismi e dall’isterilimento della rapacità capitalista.
La strada è lunga e il progetto non è certo di facile risoluzione, anche per l’ostracismo attuato da forze politiche e padronato che, al di là dei proclami ufficiali, vede in questa operazione un ostacolo ai loro interessi. La strada è lunga e difficile, ma la volontà di realizzare un progetto simile è tanta. Gli abitanti e lavoratori di San Carlo sentono che gli sta scappando la gestione della loro vita dalle mani e questo non lo vogliono.
Ora il Pedro non c’è più, è venuto a mancare l’ideatore e il motore del progetto. Ma questo non ha scoraggiato chi ha sempre visto questa proposta come unica soluzione per riprendersi la propria dignità.
Come Usi/Ait sezione di Carrara, siamo ben lieti di sostenere e coadiuvare i lavoratori e gli abitanti della San Carlo nel proseguimento di questa lotta.

USI/AIT sez. Carrara

San Carlo Terme – Una cooperativa nello stabilimento che chiude

Posted in San Carlo on 17 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

Pubblicato su Umanità Nova n° 37 del 18 dicembre 2011 (http://www.umanitanova.org/)

I profitti non sono abbastanza e senza neanche pensarci il padronato decide di chiudere lo stabilimento. Stiamo parlando dell’azienda di imbottigliamento delle Terme di San Carlo, una frazione a monte nel comune di Massa.
La storia dello stabilimento è lunga è intricata. Da anni si stanno perdendo posti di lavoro, le proprietà che si sono succedute hanno ridotto all’osso la capacità produttiva in conformità con le logiche di sfruttamento capitalista, inondando di promesse senza che poi queste siano mantenute. E ora siamo al dunque. Gennaio 2011, la Vichi Holding, proprietaria della società di imbottigliamento, è coinvolta in una indagine per evasione fiscale. Titolari e amministratori finiscono in carcere. La società dichiara che “[…] Terme e Sorgenti San Carlo non è oggetto dell’indagine della magistratura […]” e che i dodici dipendenti sono al sicuro. Talmente al sicuro che da dodici siamo passati a otto. E vengono bloccati gli investimenti promessi già nel 2009.
Intanto tutto langue. Di quattro sorgenti, solo una è utilizzata e al 20%. Il centro è specializzato in cure idroponiche. Le acque, di tipo oligominerale e povere in sodio, sono utilizzate come bevanda per la cura delle malattie dell’apparato digerente, di numerose affezioni urinarie e di alcune malattie dismetaboliche. Iniziano le trattative, tutti dicono la loro, si succedono incontri tra amministrazione comunale e proprietà, ma a nulla valgono. E ora la sentenza è praticamente definitiva: il 31 dicembre l’attuale proprietà chiude tutto.
Un paese intero è in ginocchio. A maggio nasce un comitato che raggruppa tutte le realtà del luogo, sia chi direttamente è coinvolto nell’attività termale, che l’indotto e i paesani. Fondamentalmente hanno una richiesta, che le terme vengano salvate. E nelle pagine del blog del comitato si legge quella che sembra essere l’unica via praticabile per giungere a una soluzione fattibile, cioè che: “lavoratori sono pronti a costituirsi in cooperativa per garantire la sopravvivenza del marchio San Carlo”.
In questa storia ingarbugliata siamo di fronte a due problemi di reale importanza: lo sfruttamento di una risorsa pubblica e la costituzione di una forma produttiva che segua un percorso di emancipazione dallo sfruttamento padronale. Una cooperativa che gestisce una risorsa pubblica.
La gestione di beni vitali come l’acqua comporta anche una responsabilità sociale. Svincolarli da sistemi di affarismo per riportarli nella loro dimensione collettiva è un’azione attuabile e può venire bloccata solo dalla volontà politica di apparati che impediscono lo sviluppo e la crescita di realtà autogestite. Apparati di un regime economico/finanziario che minano il tessuto connettivo umano spezzando quei rapporti di solidarietà e di mutuo appoggio che dovrebbero essere alla base di ogni attività umana nella conduzione delle risorse comuni e del territorio. Iniziative che hanno come obiettivo l’acquisizione dei mezzi di produzione e la loro gestione sociale sono l’unica strada percorribile per vincere la prepotente violenza della falsa crisi attuale e difenderci dall’attacco del capitalismo organizzato.
Come sezione di Carrara dell’USI/AIT appoggiamo di buon grado un’iniziativa di questo tipo, che veda coinvolti non solo i lavoratori dello stabilimento di imbottigliamento, ma tutto il paese e che questa sia una prima iniziativa per la riappropriazione del territorio da parte della collettività che lo vive. Agli otto lavoratori rimasti va tutta la nostra solidarietà.

USI/AIT sez. Carrara


Mara Redeghieri – DioValzer

Posted in Circolo on 16 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

E’ disponibile al circolo anarchico Fiaschi Dio valzer. Canzoni popolari anarco sindacali. Mara Redeghieri (già Ustmamò)ripropone Inno individualista, Stornelli dell’esilio, Il galeone ed altre classiche canzoni libertarie, accompagnata alla chitarra da Lorenzo Valdesalici. Il risultato fa pensare che l’anarchismo sia una cosa del presente e del futuro, non del passato.

A metà disco si ascolta: Bevi compagno bevi e Le Beghine, eseguite Fausto Manfredi. Dio valzer è pubblicato dal Circolo Enrico Zambonini di Villa Minozzo (RE).

Zambonini era un anarchico di Villa Minozzo che ha partecipato alle lotte sociali più importanti della prima metà del Novecento, anche la Rivoluzione spagnola. E’ stato fucilato dai fascisti nel poligono di tiro di Reggio Emilia (1944).

Descolarizzare la società

Posted in Testi Free on 7 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

Ivan Illich (Vienna, 4 settembre 1926 – Brema, Germania, 2 dicembre 2002), austriaco di nascita e messicano d’adozione, è stato non solo un anarchico, ma anche un sociologo, filosofo, linguista (conosceva una decina di lingue), teologo e storico delle istituzioni.

La descolarizzazione
Nel suo Descolarizzare la società Illich giunge alla conclusione non solo che l’educazione universale mediante la scuola obbligatoria è impossibile, ma anche che nel sistema scolastico obbligatorio “si impara che tutto ciò che è prodotto da un’istituzione dominante vale e costa caro, anche quello che non si vede, come l’educazione o la salute. Si impara a valorizzare l’avanzamento gerarchico, la sottomissione e la passività, e persino la devianza-tipo che il maestro ama interpretare come sintomo di creatività”. Lo Stato utilizza la scuola per condizionare le masse attraverso l’educazione permanente che, dal punto di vista morale, “è ancor meno accettabile della scuola di vecchio tipo”, poiché è capace di “condizionamenti massicci ed efficaci, capaci di produrre in serie manodopera specializzata, consumatori di cultura docili e disciplinati, utenti rassegnati». Questi sistemi “celano una profonda distruttività”, tendendo a demolire i valori più essenziali della società.
Per Illich il sistema educativo ideale è quello che mette insieme il “sapere proveniente da relazioni creative tra l’uomo e il suo ambiente naturale” e il “sapere reificato dell’uomo agito dal suo ambiente attrezzato”. La prima tipologia di sapere è il risultato delle relazioni che si sviluppano naturalmente tra le persone (es. l’apprendimento della lingua materna), la seconda “discende da un addestramento intenzionale e programmato” (es. l’apprendimento della matematica).
Da Anarcopedia

Descolarizzare la società

Il federalismo anarchico in Italia dal Risorgimento alla Repubblica

Posted in Testi Free on 7 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

Da sempre il progetto anarchico tende al federalismo. Gigi Di Lembo ne traccia una storia in questa dispensa preparata per un suo corso universitario.
Dagli inizi risorgimentali all’esperienza della Spagna nel ’36 delinea un percorso di base utilissimo per iniziare un dibattito e approfondimenti dibattimentali
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Federalismo Anarchico

Dove siamo

Posted in Circolo on 7 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

Circolo Culturale Anarchico “Gogliardo Fiaschi”

via G. Ulivi, 8/b

54033 CARRARA MS

email: circoloanarchicogfiaschi@email.it

Manifesto Alluvione

Posted in Territorio e dissesto on 7 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

“Crediamo che la più grande parte dei mali che affliggono l’umanità dipende dalla cattiva organizzazione sociale…” (Errico  Malatesta)

Lo Stato e le Istituzioni dicono di voler ricostruire i territori alluvionati.

Intanto alle nostre spalle gli sciacalli mascherati da “ricostruttori” ridacchiano pensando alle possibilità di guadagno. L’hanno fatto a L’Aquila, non mancheranno di ripetersi in lussuriosi sorrisi.

Stanno pensando a come rifare subito profitti…

…e ci propongono salvifici outlet, forgianti incubatrici di sogni e bisogni, titanici parcheggi, strade e piscine verso la prospettiva di nuovi condoni, cantieri “placebo”.

Si spartiranno gli utili e i finanziamenti e ci lasceranno in mano solo lavoro nero o contratti di lavoro precari e sottopagati e tanto cemento… e naturalmente i nostri piagnistei, la possibilità di lamentarci senza contare niente.

Per noi anarchici sono progetti che si devono eliminare.

La terra è di tutti gli uomini. Tutti i viventi esigono, per sopravvivere, l’organizzazione biologica e l’organizzazione ambientale.

L’uomo esige una terza organizzazione, quella sociale e non deve essere autoritaria. I nostri territori, fragili e provati non devono essere pensati come terra di conquista, ma un mezzo per recuperare il rapporto con la natura.

Dovremmo smetterla di essere numeri per statistiche. Possiamo tornare ad essere comunità reali, città senza confini, costruite per abitarci comodamente ed in sicurezza e non agglomerati di case che hanno valore solo se hanno attività commerciali o paesaggi industriali nelle vicinanze.

Quello che continueremo ad odiare e denunciare e alla fine abbatteremo è lo sfruttamento della natura e dell’uomo e per questo motivo ricerchiamo e vogliamo diffondere i vantaggi che vengono dalla cooperazione e dalla solidarietà e dall’autogestione generalizzata dei territori

Coordinamento Anarchico La Spezia-Carrara-Versilia

manifesto alluvione 2011

Repressione dopo l’alluvione

Posted in Territorio e dissesto on 7 gennaio 2012 by circoloanarchicogfiaschi

Ci è giunta oggi questa info che rigiriamo immediatamente

La notte del 31 dicembre, a Vernazza, è stato arrestato un nostro amico e compagno, accusato di aver tracciato con un sasso una falce e martello sul cofano della macchina dei carabinieri.

Il ragazzo è stato additato fin da subito dal capo dei vigili locali con buona parte della popolazione presente, senza un barlume di prova.

La nota dolente è stata che i presenti hanno plaudito l’operato dei carabinieri; solamente un nostro compagno ha provato invano di ostacolare la partenza della macchina.

Il giovane ci ha raccontato che i carabinieri, in caserma, si sono divertiti a vessare, con provocazioni e schiaffi estorcendogli una confessione.

Quella sera erano presenti in paese le massime autorità, loro sì colpevoli di disastri; a capo di questo pericoloso assembramento vi era il presidente della regione Liguria, Burlando, il quale ha garantito ai paesani che la stagione turistica riaprirà ad aprile(??!!)

A questi schifosi personaggi non sono bastati due mesi per dimenticare cosa è successo.

Coordinamento Anarchico La Spezia Carrara Versilia

Questa è l’unica risposta che il potere sa dare al dissenso: repressione

Vi terremo aggiornati sugli sviluppi